La globalizzazione culinaria è sotto gli occhi di tutti. Ma quali sono gli effetti evidenti e quelli più reconditi della globalizzazione nelle abitudini degli italiani in cucina?
La globalizzazione è effetto di relazioni e scambi a livello internazionale e mondiale che riguardano tutti i settori commerciali. Com’è ovvio, diretta conseguenza di questo stato di cose è anche la globalizzazione culinaria, che è arrivata a omologare usi e costumi anche della imperturbabile cucina italiana; questa ha prodotto diversi effetti sui gusti e sulle abitudini alimentari. La richiesta specifica di alcuni prodotti, che si impongono decisamente rispetto ad altri,a causa delle forti importazioni dall’estero finiscono per diventare una sorta di collage di alimenti provenienti un po’ da ogni parte del mondo.
Scriviamo di questo argomento, poiché come potete immaginare, ci tocca nel profondo.
La nostra azienda si impegna da sempre per contrastare questo tipo di fenomeno, portando avanti il meglio della cultura culinaria siciliana, perché di cultura si tratta.
A tal proposito, abbiamo deciso di aprire gli occhi ai nostri lettori su quali sono gli effetti più evidenti, e quelli invece più nascosti, della globalizzazione culinaria sulle nostre tavole. Ci permettiamo qui di citare un estratto da un articolo de “La Stampa” su questo argomento, perché possa essere il più esaustivo possibile:
I gusti. Negli ultimi dieci anni il gusto degli italiani sembra essere variato abbastanza decisamente. Si impone la frutta esotica, tanto che per il consumo delle ananas che raddoppia si deve registrare il dimezzamento di quello delle pesche, con le banane che sono addirittura diventate il terzo frutto più consumato dagli italiani dopo mele e arance. E nonostante l’Italia sia il primo produttore di frutta e verdura in Europa, la frutta straniera rappresenta oggi ben il 15% di quella consumata. Ad attirare il consumatore è in particolare il fatto che questi prodotti arrivino spesso fuori stagione, tanto che negli ultimi dieci anni si registrano vere e proprie impennate in alcune importazioni: i mirtilli dall’Argentina ad esempio sono in crescita del 560%, le ciliegie del Cile schizzano a +122% e l’uva del Sudafrica aumenta del 50%.
Le abitudini. Un aumento abbastanza considerevole si registra anche nel consumo di cibi etnici, per quanto, nonostante la rapida diffusione degli esercizi commerciali che li offrono, solo il 7% degli italiani dichiara di frequentare molto spesso un take away straniero e il 5% un ristorante straniero. Dal 2000 ad oggi risultano praticamente raddoppiati i ristoranti etnici, e le vendite di prodotti etnici al supermercato hanno registrato una crescita ancora maggiore. Permane, comunque, in questo campo particolare, un certo scetticismo da parte di uno “zoccolo duro” di italiani, con quattro italiani su dieci che non hanno ancora mai messo piede in un ristorante straniero (41%) o acquistato per strada kebab, falafel, involtini primavera o sushi da portare via (38%).
La globalizzazione nascosta. Quando ci sediamo davanti a una pizza fumante al pomodoro ci sentiamo orgogliosi di questo prodotto tradizionale, eppure a ben guardare dentro il nostro piatto troviamo un vero caleidoscopio di ingredienti, provenienti anche da molto lontano. Stando ai dati Coldiretti infatti, nella metà delle 25.000 pizzerie nazionali gli ingredienti sono tutt’altro che nazionali. E così la mozzarella è sostituita con cagliate provenienti soprattutto dall’est dell’Europa, l’olio di oliva tunisino e spagnolo sostituisce quello italiano e la farina canadese o ucraina sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale. Si salverà almeno il pomodoro? Anche quello in molti casi proviene dalla Cina, tanto che le importazioni di concentrato di pomodoro sono aumentate in dieci anni del 272%, con un quantitativo stimato per il 2010 di 100 milioni di chili.
fonte: lastampa.it
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